domenica 4 marzo 2012

Safineis, ad aederf grofia

(No, non ho perso il senno - o interpretato un latino con la zeppola: l'italico osco aveva esiti dentali lì dove il romanico poi latino li aveva labiali, ho cercato di ricostruire un'ovviamente errata versione.)
I Sanniti erano una popolazione greco-sabina stanziata nel meridione, in particolare Lazio e Campania, mescolanza etnica di diversi popoli sia italici quanto ellenici, unico superstite ed erede di una provincia Spartana che diede poi vita ai Gladiatori. Nelle epoche i Safineis svilupparono una propria cultura e governo. 
Il principio religioso-sociale della migrazione programmata attraverso il rito della Ver Sacrum prevedeva lo spostamento secondo rotte designate dalla Natura e dall'itinerario di animali sacri agli Dei fino al giungere ad un nuovo, sconosciuto territorio dove stanziarsi. Il governo decentralizzato, federale in certi aspetti, prevedeva il rispetto e gli eguali diritti di ogni cittadino, con spessore verso donne ed anziani. 
La natura stessa del popolo generò presto la duale figura del guerriero/pastore. Nel latino antico, Gladiatore e Sannita erano utilizzabili senza problemi d'interpretazione come sinonimi.


La Primavera Sacra era ormai alle porte mentre il leggero profumo delle vedove si portava verso il centro del rito funebre. Tutti erano lì riuniti, tutti ad adunata, tutti, come un solo individuo, come una sola lacrima a dispiacersi e piangere per la morte di quei due valorosi eroi.
Il rito era quasi giunto alla fine, mentre i flauti piangevano come la pioggia nera che nei giorni più bui copre il Mondo, e le arpe urlavano dolore assieme al vento soffiante, e le foglie danzanti una ninna-nanna per le madri dei defunti. Le sacerdotesse suonavano, e lacrimavano, e si lamentavano in sussurri e spifferi di vento le bagnavano l'anima, mentre danzavano lente attorno a quelle due piccole case, quelle due piccole tombe.
Dinanzi ai defunti v'era il Sacerdote, ed affianco a lui le Madri ed il parenti, ed i guerrieri più forti ed i pastori più saggi. Tutti prendevano parte al dolore, tutti ammiravano il Sacro.
Il cervo ed il lupo non battagliavano né fuggivano, bensì silenti riposavano ai fianchi dei due corpi, stesi per terra, coperti da fasce e pelli, con gli occhi celati al mondo esterno, dormienti. Ed era stato forte e fulmineo l'arco del primo, intagliato per volere degli Dei dall'albero più sacro, e decorato per la Natura con corna di cervo ai lati. Maestosa e letale la lunga spada del secondo, coperta l'elsa di questa dei lunghi, grigi peli della lupa che aveva protetto la via del pastore fin dalla nascita, e lo aveva accudito ed addestrato nelle sagge leggi della natura.
Non una lacrima versavano le Madri, il loro pianto lo si svolgeva in silenzio, nel profondo dei cuori, nella secretezza dell'animo, e solo in quel giorno era a piangere il Mondo con la sua stirpe. Tanto maestosi erano gli uomini che ci abbandonarono che tutti gli animali stavano a guardare, silenti, non un di loro proferiva verso o s'agitava.
Si innalzarono allora in cielo a turno le due grandi cinture d'oro, bronzo ed argento, segno di magistrale autorità ed amore, di coraggio e virtute, che avevano accompagnato ogni giorno quei grandi uomini che ora ci abbandonavano. Un ultimo raggio di sole fu da queste catturato, per l'ultima volta, e per l'ultima ora questo si sprigionò dai metalli sui giacenti, ed i loro volti erano santi come gli Dei, fermi come il tempo.
I profeti intonarono infine il loro canto, la loro lenta nenia a dormir dei sospiri.
«Non disperiamo 'O Popolo di Mamerte, perché oggi i nostri pastori, Safini trai Gladiatori, partono per la loro ultima, Sacra Primavera, verso il sacro lago di Cutilia, verso gli Dei, verso la Pace. Tremano le alture e ululano i lupi il dolore* che noi seppelliamo oggi. Eterna sia la gloria del loro peregrinare, eterna sia la loro memoria, eterno sia il canto che oggi squarcia i cieli.»
I corpi furono chiusi nelle loro nuove dimore, nelle piccole tombe di mura rossa come la terra e bianca come le nuvole. Per sempre avrebbero lì riposato, e malaugurio a chi avrebbe disturbato il loro riposo.
Il cervo ed il lupo lenti scomparvero nella foresta, nei boschi, accompagnando le anime al trapasso, alla pace, alla gloria.
Due giovani guerrieri alzarono le spade al cielo, si inchinarono, si salutarono l'un l'altro. Il tuono delle spade che si incrociano pose fine al rito.


In memoria delle Tombe di Tufo, gli Spogliatoi dei Gladiatori, distrutte a Santa Maria Capua Vetere la notte tral 23-24 gennaio 2012.


*  I Pentri, "gente delle alture" e gli Irpini, "uomini-lupo", da osco Hirpus.


Mariano Pugliese

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